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Data : 7/2/2005
La produzione avicola in Italia


1. Produzione e consumi
Negli ultimi trent’anni la produzione di carni avicole e uova ha fatto progressi enormi, trasformandosi in variabile determinante dell’economia nazionale.
Sappiamo che nel periodo compreso dal 1945 al 1955, in Italia il pollame destinato al consumo proveniva per la maggior parte dall’allevamento rurale nazionale e dall’allevamento intensivo estero, soprattutto dall’allevamento francese ed olandese. Il consumo medio annuo di carni avicole si aggirava sul chilo e mezzo a persona, con una disponibilità di 700.000 quintali .
Negli anni ottanta la sola carne prodotta in allevamenti intensivi era stimata attorno agli 11 milioni circa di quintali e le importazioni rimaste erano quelle in compensazione dai paesi dell’Est europeo.
Oltre alla carne l’allevamento intensivo ha messo a disposizione del consumatore più di 10.000 milioni di uova per un peso complessivo di circa 6.000.000 di quintali, con un consumo pro-capite di più di 180 uova per un peso di circa 11 chilogrammi.
Il settore avicolo ha avuto, negli anni ottanta, un valore complessivo di oltre 3.000 miliardi di lire, ripartiti circa in 2/3 da carne e 1/3 da uova. Questo significa che esso ha partecipato, in termini di percentuali, in ragione di circa il 15% alla formazione della produzione lorda vendibile in agricoltura e di circa il 40% della produzione lorda vendibile zootecnica. Si può affermare tranquillamente che oggi la produzione avicola nazionale è sufficiente a soddisfare il fabbisogno del paese. Le importazioni sono scese a circa il due per mille della produzione avicola nazionale, ed hanno un carattere congiunturale o strumentale che dipendono da determinate scelte di politica produttiva, non certo da un’insufficiente potenzialità del settore.

Valutando le statistiche del settore delle carni avicole risulta che l’Italia, dopo gli Stati Uniti d’America, è la principale produttrice di carni avicole. Parlando di zootecnia, il pensiero va immediatamente alle importazioni e al passivo della bilancia commerciale, infatti compriamo di tutto : dai bovini ai suini, dagli ovini ai caprini, dai conigli alle chiocciole. L’unico settore zootecnico che abbia raggiunto l’autosufficienza è appunto quello delle carni avicole.
Prima degli anni cinquanta l’avicoltura razionale non esisteva in Italia: nel 1900 si producevano 450.000 quintali di carne di pollame, nel 1950 poco più di 500.000 quintali. In pochi anni la produzione è salita a circa 11 milioni di quintali, con un consumo pro-capite che è passato da circa 1 chilogrammo a circa 17 chilogrammi, con un incremento di oltre il 1.700% portandosi ai primi posti in Europa.
Precedentemente si è parlato di autosufficienza del settore: in realtà il tasso di autoapprovvigionamento è quasi del 99% e lo spazio per le importazioni è molto ristretto. Acquistiamo per circa l’1% dalla Francia e dai Paesi dell’Est europeo, ma gli operatori del settore non temono la concorrenza straniera, perché si sentono sicuri del favore che il prodotto nazionale incontra presso il consumatore, dovuto ad una migliore convenienza e soprattutto ad un’ottima qualità.

2. L’aspetto socio-geografico dei consumi
Analizzando l’Italia sotto il profilo socio - geografico essa non appare uniforme nei consumi dei prodotti avicoli. Si rileva che i consumi sono stazionali al settentrione, dove la loro entità pro-capite è, in senso assoluto, piuttosto elevata. Nelle zone che gravitano attorno ai grossi centri industriali l’organizzazione di vendita al consumo è assistita da una capillare rete di distribuzione e si può prevedere che, se non insorgeranno fenomeni nuovi, difficilmente in queste zone si potranno verificare grosse variazioni rispetto agli attuali consumi.
Per quel che riguarda il Centro e il Meridione d’Italia il discorso è diverso. In queste zone si registra una buona progressione dei consumi, anche se di entità inferiore a quella che si poteva attendere. Diversi fattori giocano a rallentarne l’espansione, fra cui la lontananza dei mercati di produzione da quelli di consumo che determina un costo più elevato di approvvigionamento ed una rete di vendita meno efficiente. Questo induce ad una minore convenienza delle carni avicole: i prezzi al consumo sono più alti rispetto al mercato settentrionale e la richiesta è negativamente influenzata da una minore consistenza dei redditi delle popolazioni meridionali.
Negli ultimi anni la domanda di prodotti avicoli si è orientata verso prodotti di qualità, grazie ad una campagna di informazione al consumatore effettuata con mezzi di larga diffusione, e si ritiene, per l’immediato futuro, che l’incremento dei consumi avicoli, soprattutto nelle aree caratterizzate da maggiori redditi, è e sarà influenzato in misura crescente dalla realizzazione di una efficace politica di qualità, diversificazione e contenimento dei prezzi alla produzione, puntando sullo sviluppo tecnologico del settore.

3. L’avicoltura come attività alternativa
Lo sviluppo produttivo avicolo non è stato equamente distribuito fra le varie Regioni della Penisola e tale differenza è stata determinata da fattori territoriali ed umani.
Nelle zone prevalentemente agricole, che hanno avuto un esodo delle popolazioni rurali verso i centri urbani ed industrializzati, la carenza di manodopera ha stimolato l’intraprendenza di alcuni imprenditori che, per fronteggiare tale situazione, hanno esteso le loro attività verso settori produttivi nuovi: tra questi il settore avicolo che attrae gli imprenditori per il relativo basso costo iniziale e per i rapidi cicli produttivi che non impegnano grossi capitali, dato che dopo appena pochi mesi, il capitale impiegato comincia ad essere ammortizzato.

4. L’ambiente, fattore rilevante per lo sviluppo
Determinati fattori ambientali e fisici del territorio, hanno influito sullo sviluppo zonale della avicoltura, favorendolo in certe zone e penalizzandolo in altre. Un esempio è dato dalle diverse condizioni climatiche che contraddistinguono le varie Regioni italiane.
Le migliori condizioni sono caratterizzate da un clima mite con variazioni di temperatura minime nell’arco giornaliero ed in quello stagionale: tale costanza di temperatura è necessaria per evitare agli animali pericoli di affezioni intestinali e respiratorie favorite dagli sbalzi termici. Dove questa situazione non si verifica, si rendono necessari interventi artificiali di riscaldamento, in presenza di temperature troppo rigide, e di ventilazione nell’ipotesi contraria.
Un altro fattore che influisce sensibilmente sulla scelta della zona di insediamento degli allevamenti è l’orografia del territorio. Di solito si preferisce ubicare gli impianti in zone di pianura e di collina, con un buon sviluppo delle reti stradali e ferroviarie, indispensabili per un rapido e costante approvvigionamento dei mangimi ed una altrettanto veloce distribuzione dei prodotti verso i centri di trasformazione e di consumo.
In relazione a tutto ciò anche una relativa vicinanza degli allevamenti ai grossi centri di consumo, come le aree altamente urbanizzate e i grossi complessi per il turismo attrezzato, ha privilegiato certe zone a discapito di altre. Una grossa difficoltà che ha sfavorito varie regioni, maggiormente quelle del mezzogiorno, è l’insufficienza idrica indispensabile per i cicli produttivi. L’agricoltura della Pianura Padana, invece, che fornisce grosse quantità di foraggi e cereali, ha favorito una rapida espansione dell’industria mangimistica grazie alla facile reperibilità di materie prime, nonchè l’insediamento e lo sviluppo avicolo.


5. L’aspetto igienico - sanitario
L’ambiente esercita un’azione favorevole o sfavorevole sugli animali, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello igienico - sanitario. Infatti la mancanza di condizioni ottimali di temperatura, umidità, ventilazione e luce è causa di stati patologici più o meno gravi, dai quali derivano perdite economiche di vaste proporzioni.
Per questo motivo l’allevamento razionale moderno, che si propone di creare e di mantenere in modo costante quelle condizioni climatiche ottimali, dedica particolare attenzione ai problemi del "macroclima" e del "microclima", cioè esterni ed interni all’ambiente vero e proprio di allevamento. In relazione al "macroclima", oltre a determinare quale sia lo specifico tipo di allevamento favorito dalla particolare zona climatica in cui opera, è necessario disporre di strumenti atti a far rispettare, all’interno della zona stessa, i principi di densità territoriale e di distanza di sicurezza degli allevamenti. Fattori indispensabili nel mantenimento di un soddisfacente stato sanitario da cui dipendono in gran parte la qualità del prodotto finito ed anche l’uniformità dei costi di produzione.
Per quanto riguarda il "microclima", si devono creare e mantenere i fattori ambientali ottimali, allevando ovaiole e polli in ambienti progettati e realizzati con la collaborazione di tecnici progettisti e di veterinari igienisti. Operando in questo senso si è arrivati alla progettazione e realizzazione di capannoni che ottimizzano le condizioni di isolamento termico, di umidità ambientale, del ricambio d’aria e di luce, anche in termini diversi fra loro, a seconda delle diverse esigenze zonali.
Il sistema d’allevamento deve essere preferibilmente a ciclo unico, con periodi di bonifica integrale e di riposo degli ambienti a mezzo di pulizia e disinfezione, tra una partita di animali di una sola età e la successiva, in modo da interrompere la catena di trasmissione di eventuali malattie.
Oltre al rispetto delle norme di igiene generale l’allevatore è tenuto alla corretta applicazione di altri fattori igienici, fondamentali nei moderni allevamenti avicoli di tipo intensivo in ambiente confinato come : indice di affollamento dei capi allevati per metro quadrato, stato di mantenimento della lettiera, sistema di raccolta delle deiezioni, tipi di posatoi, dislocazione delle mangiatoie e degli abbeveratoi, sistema per la raccolta delle uova.
Nell’allevamento a terra dei polli da carne è presente il problema della coccidiosi e della sua profilassi, malattia aviare che si può limitare attraverso una scrupolosa cura della lettiera e con la somministrazione di coccidiostatici, mentre la straficcolosi, che aveva come cause insorgenti fattori di natura igienico ambientale, nei moderni allevamenti è stata debellata.

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